C’era una volta un burattino di legno… Anzi no. C’erano una volta due burattini di legno! Il primo è morto impiccato. Il secondo è giunto sino a noi, trasformandosi in un bambino in carne ed ossa nel libro più letto, più stampato e più tradotto della storia (dopo la Bibbia e il Corano): Pinocchio.
Ma il Pinocchio che alberga nell’immaginario collettivo è veramente lo stesso personaggio partorito dalla penna di Carlo Collodi? La risposta è no.
Tutto ha inizio nel 1881, quando Collodi, all’anagrafe Carlo Lorenzini, fa recapitare al direttore del Giornale per bambini l’incipit di un suo romanzo accompagnato da questo biglietto: «Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare; ma se la stampi, pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitare».

«Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare; ma se la stampi, pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitare.»
Un dettaglio che la dice lunga sullo spirito che animava lo scrittore toscano, il quale aveva deciso di collaborare col giornale più per soldi che per diletto, essendo sommerso da debiti di giuoco fino al collo. Il romanzo viene pubblicato a puntate col titolo “Storia di un burattino”. Alla quindicesima puntata, però, questo Pinocchio finisce nel più tragico dei modi: impiccato dal Gatto e la Volpe a un ramo della Quercia Grande. «Oh, babbo mio!… se tu fossi qui», esclama Pinocchio prima di morire stiracchiando le gambe. Segue un’agghiacciante: «Fine». A suon di moneta, Collodi si convince a riscrivere la storia. Perché, senza essere Freud, appariva a tutti evidente che quel finale lugubre avrebbe avuto effetti devastanti sulle povere creature che ne avevano seguito le brillanti gesta.

Così Pinocchio risorge e l’intero plot narrativo si spinge verso un altro finale: quello che tutti ben conosciamo, col burattino che si trasforma in un bambino vero. Le rivisitazioni successive, fatte non per mano di Collodi, ci restituiscono però un altro Pinocchio ancora, costellato d’allegorie e luoghi comuni. Pensiamo al naso che si allunga. Il simbolo per eccellenza dell’intera favola, spauracchio di tutti i bambini quando si sentono dire dai genitori: «se dici un’altra bugia ti si allunga il naso come Pinocchio». La verità è che nel romanzo originale il naso cresce soltanto in uno o due episodi.

E comunque per l’autore aveva una valenza marginale, mentre nelle varie trasposizioni ha assunto un ruolo da protagonista. Altra bugia nella favola delle bugie: la balena. Ebbene, in Pinocchio non c’è nessuna balena. Semmai un Pescecane (con la P maiuscola), noto come “l’Attila dei pesci e dei pescatori, un vero mostro marino con tre filari di denti”. E arriviamo alla cara, dolce Fata turchina: «Allora si affacciò alla finestra una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo: in questa casa non abita nessuno. Sono tutti morti.».

Un’apparizione tutt’altro che rassicurante, preludio ad altre vicende inquietanti o perlomeno immerse in un’atmosfera che non ci aspetteremmo, oggi, in un racconto per bambini. Di contro, il cattivo della storia non è così cattivo come ci hanno voluto far credere. E infatti Mangiafuoco, che appare come un omone barbuto con volto mascherato che tenta di spaventare i burattini, in realtà li sorregge sulle spalle come un fratello maggiore e si scioglie nel momento in cui Pinocchio lo bacia sul naso.

Morale della favola… è il caso di dire: la verità è che nulla è come sembra, e anche dietro alla favola più famosa del mondo si celano misteri e bugie. E non sono quelle del naso di Pinocchio!